domenica 8 agosto 2010

IDEECOSTRUTTIVE TORNA A SETTEMRE

Ideecostruttive work in progress – torna a settembre
Dal caos del linguaggio delle idee alla trasparenza delle scelte condivise sulla cultura dell’abitare


A partire dalla green economy e dall’ecosostenibilità ambientale continueremo
ad interrogarci sul senso dell’abitare.

Dopo le tappe milanesi partite l’11 giugno dalla Triennale e concluse il 22 luglio alla Design Library, il ciclo d’incontri, *il laboratorio dell’Industria dell’Abitare, riparte da Settembre e proseguirà tutto il 2010 facendo tappa nelle principali città italiane, per discutere con i protagonisti, intellettuali – professionisti – imprenditori, e con voi cittadini, sulle trasformazioni delle forme dell’abitare. Con aperture, scambi e contaminazioni tra Energie alternative, Urbanistica, Sociologia, Eco pensiero, Architettura, Design, Edilizia, Costruzioni, Real Estate, Tecnologia, Arte, Arredamento, Cultura verde.

IL CALENDARIO DI IDEECOSTRUTTIVE*
AUTUNNO/INVERNO 2010


IDEECOSTRUTTIVE*7
Il 23 Settembre 2010 saremo a Milano, presso l’Ordine degli Architetti

IDEECOSTRUTTIVE*8 e 9
Il 7 Ottobre 2010 saremo a Biella, presso Cittadellarte Fondazione Pistoletto e a Milano presso l’ADI (Associazione Disegno Industriale)

IDEECOSTRUTTIVE*
A Novembre 2010 saremo a Brescia, presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia, a Milano presso l’Urban Center e a Roma.

Saremo anche a Lugano, Bergamo, Genova, Torino, Venezia, Bologna, Ascoli Piceno,
Urbino e Napoli.

Invitiamo voi cittadini a segnalarci dove vorreste facessimo tappa, invitiamo le istituzioni o gli spazi pubblici a segnalarci la loro disponibilità a collaborare con noi ospitando uno degli incontri a concorso@ecohousing-art.it

Io e il resto dello staff del concorso siamo in vacanza, torniamo l'1 settembre 2010

sabato 7 agosto 2010

Derrick de Kerckhove «Siamo tutti cyborg, e lo siamo da un pezzo! Google is making us stupid»

Oggi esiste la capacità di collegare l'elettricità interna con in sistema nervoso
del pianeta, la nostra nuova identità è di tipo connettivo. McLuhan aveva torto.

La nascita del Web risale al 6 agosto 1991, giorno in cui Berners-Lee mise online su Internet il primo sito Web. Inizialmente utilizzato solo dalla comunità scientifica, il 30 aprile 1993 il CERN decide di rendere pubblica la tecnologia alla base del Web. A tale decisione fa seguito un immediato e ampio successo del Web in virtù della possibilità offerta a chiunque di diventare editore, della sua efficienza e, non ultima, della sua semplicità. Con il successo del Web ha inizio la crescita esponenziale e inarrestabile di Internet ancora oggi in atto, nonché la cosiddetta “era del Web”. Questo pezzo non poteva che iniziare così, con una spiegazione semplice e stringata del web, una citazione di Wikipedia. La piacevole e lunga chiacchierata con Derrick de Kerckhove è semplicemente spiazzante, disorientante e gravida di aspettative, soprattutto per una non nativa digitale come me. Infatti mi sento più una zia del web, “vecchia” nonostante non lo sia, restìa verso alcune forme tecnologiche di integrazione connettiva, ma sinceramente curiosa e da oggi decisamente più propositiva. Un sentimento che non poteva che nascere dall’erede spirituale di Marshall McLuhan.

Qual è lo status quo del rapporto uomo-reti digitali, nel mondo? Mi mappa una fotografia mondiale? Cosa sta succedendo, oggi?
ride Wow! Ci sono due o tre fotografie possibili. La prima che ricordo è del 2001. Era una mappatura elaborata dalla ripresa su scala mondiale di 8 ore di registrazione satellitare, per localizzare con precisione tutte le reti elettriche in corso durante quel periodo di tempo. Quella è una visione significativa perché è l’elettricità a dare la dimensione reale e profonda della realtà contemporanea, ancor più che la diffusione di internet, perché alla base tutto c’è l’elettricità.

Vedere quella fotografia dà realmente la sensazione per poter dire, ok è di questo che si tratta. Soltanto dopo si può unire l’elettricità al linguaggio, per vedere una condizione completamente diversa da tutte quelle che abbiamo pensato prima.
È globale ma è anche iperlocale. La località infatti ha perso l’orizzonte, è in tempo reale per tutto, è accesso da tutto a tutti e da tutti a tutti gli altri. Una situazione che non abbiamo mai conosciuto nel mondo, una situazione twitterata, dove i fatti possono circolare e qualsiasi cosa succeda, in qualunque parte del mondo posso sapere e creare un gruppo d’interesse.
Questa è la dimensione in cui noi siamo, l’idea grande e generale, insieme a una quantità fenomenale di altre tecnologie che la rendono ancora più complessa, le nanotecnologie, la genetica tutte cose che dimostrano quanto siamo noi a prendere il controllo sulla Natura invece di essere sotto il suo controllo.

In più la situazione è molto molto accelerata, febbrile, cosa che ci pone davanti a nuove sfide globali quali l’ambiente o la geopolitica selvaggia che continua a funzionare oltre le intenzioni direi più pure. Io penso che la fotografia reale è quella di un mondo che comincia a capire i suoi limiti, comincia a capire che non si salva da sé, ma dobbiamo essere noi a crearne la salvezza. Pensare che tutte le cose che abbiamo fatto fino a questo momento vadano riorganizzate, rese a misura d’uomo, invece che alla misura del Rinascimento, quando l’uomo aveva solo la schiena per portare il corpo, il mio habeas corpus no? dal latino habeas corpus ad subiciendum, cioè “che tu abbia la disposizione del tuo corpo, della tua persona” per affermare il diritto dell’inviolabilità della libertà personale. Stiamo cambiando totalmente l’uomo di Da Vinci.

Alberto Abruzzese, come mi ha raccontato nell’intervista ad HOUSE, LIVING AND BUSINESS, auspica però che il contributo delle reti digitali, intese come protesi tecnologiche dell’uomo, contribuiscano ad affermare un ruolo marginale di questi rispetto al resto del pianeta. Lui ha un pensiero profondamente antiumanista, cito testualmente, identifica nell’umanesimo i peggiori disastri delle politiche attuali perché appunto sono il risultato della continua riaffermazione dei valori dell’umanesimo. Secondo Lei questo fenomeno al rovescio che non vede più l’uomo al centro del mondo, sta realmente accadendo o può accadere?
Deve accadere, sta accadendo e deve continuare ad accadere. Deve cambiare l’etica fondamentale. L’uomo è già cambiato radicalmente dalla cultura medioevale alla cultura rinascimentale, ma sta cambiando ancora, sta diventando connettivo. La connettivtà lo discosta dall’individualità classica e lo si vedrà certamente con i cambiamenti delle leggi e delle problematiche legate alla privacy. L’uomo individualista che è nato nel Rinascimento sta cambiando assieme alla nostra sensibilità. Nel Medioevo l’Inquisizione e la brutalità della Chiesa erano una risposta disperata contro l’arrivo imminente dell’individualismo, allora considerata la crisi della tradizione. Oggi noi siamo in una crisi di tradizioni.

Tutto va molto male in questo sistema classico, anche l’economia e l’ecologia. Il rapporto che abbiamo con la Natura continua ad essere distruttivo, ma soltanto adesso cominciamo a vederlo, a capirlo e a rispondere. Ma per farlo correttamente dobbiamo avere un sentimento dell’essere umano che non sia assolutamente limitato o concentrato su di sé.

Siamo nati in una cultura tribale, con il rispetto totale del padre e della comunità, essendo responsabili verso di questa, un io ancora non ce l’ho. Poi arriva la cultura letterata, l’uomo comincia ad avere potere sulla parola, diventando più consapevole. L’uomo acquisisce una coscienza privata e la afferma ad esempio con le guerre di religione. La libertà dell’individuo era odiosa alla Chiesa, specialmente alla Chiesa spagnola. Oggi la problematica si è rovesciata, la libertà dell’individuo diviene anche un modo di riprendere potere sul corpo dal punto di vista di una accordo legale, culturale e sociale, una sorta di ritorno al Medioevo anche se in modo diverso. La magia medioevale torna su di noi e riprende possesso del corpo seguendolo, trascinandolo, spremendolo, proiettandolo, connettendolo, stirandolo…

I nativi digitali fanno parte di questa fase, non sono certamente cretini, ma non hanno niente nella testa e non hanno bisogno di niente nella testa! Questo è un altro problema, dentro nella testa hanno una nuova estensione digitale che… uh-uh!… ci sono troppe cose oggi che nella testa non si potranno mai mettere!

Per esempio la memoria…
Un tipo di conoscenza condivisa da tutti. Vuol dire che non è più una conoscenza privata, Wikipedia è una conoscenza comune, io conosco il mondo via Wikipedia perché lo condivido esattamente con tutti quelli che vi hanno accesso, questo è il cambiamento fondamentale.

Che non obbliga più ad immagazzinare dentro di sé la conoscenza dato che ce l’ho sempre disponibile.
Questo problema esisteva già dagli antichi Egizi. Una volta che tu hai messo fuori dalla tua testa le condizioni di memoria, tu hai perso la memoria e basta. Noi invece abbiamo fatto un’altra cosa, abbiamo messo tutta la memoria a disposizione di tutti, e in più stiamo mettendo a disposizione anche i principi cognitivi.

In che senso, Professore?
I processi di informazione sono processi cognitivi e sono trattati completamente fuori di te, senza che tu abbia bisogno di aver null’altro se non un computer, di un terminale, un’interfaccia. C’è sempre uno scambio di tecnologie tra il tuo terminale e la conoscenza cloud, la cloud computing ndr. un insieme di tecnologie informatiche che permettono l’utilizzo di risorse hardware o software distribuite in remoto e… hello guys! questa è la conoscenza nella nuvola! L’uomo ha conosciuto tre fasi dell’elettricità, la prima è nata col telefono, il telegrafo che porta un segnale. Quella era una fase direi muscolare, dal momento che si tratta di luce, calore, energia. Era la fase analogica. La seconda fase è quella della digitalizzazione cognitiva, esplicita e intelligente. Diviene contenuti di informazione, diviene complessità del linguaggio, una cosa stupenda! A questo punto l’elettricità diviene anche capace di contenere e veicolare tutta la memoria. Adesso siamo nella terza fase, quella della mobilità, del telefonino, dove tu hai a disposizione tutta l’informazione comunque e dovunque, dappertutto e per tutti. Il grande mondo fuori dalla tua testa è un mondo di comunicazione, di scambi in tempo reale, un processo cognitivo permanente.

Massimo Di Felice ha pubblicato da poche settimane il libro Paesaggi Post Urbani, un volume che raccoglie una serie di riflessioni che passano attraverso il meta-attivismo, nuovi sensi che i nativi digitali svilupperanno negli anni a venire, interventi cognitivi e fattivi nella costruzione di nuove geografie dell’abitare da parte delle persone connesse che condividono informazioni e appartenenze… Nelle analisi tra ambito pubblico e privato Massimo di Felice riscontra una crescente promiscuità e facilità di passaggio. Come si lega con il suo pensiero tra linguaggio interno e linguaggio esterno?
Ah, Massimo, lui è un mio caro amico! Vedi, per me il rapporto tra il corpo e il linguaggio è il rapporto di base della condizione umana. O il linguaggio possiede il tuo corpo o viceversa. Nelle tribù la parola orale del capo, del medico, del mago è una parola fuori da tutti i corpi, è tra i corpi, ed essendo tra i corpi li condiziona esercitando su di essi un potere, fa fare ai corpi delle cose. Ma cosa succede quando tu cominci a saper leggere, a saper scrivere? Stai mettendo il linguaggio dentro la tua testa e quando stai scrivendo, controlli il linguaggio.

Quando ti metti a leggere tu il linguaggio lo introduci nella tua testa, è silenzioso. Il nostro amico Cervantes Miguel de Cervantes Saavedra Alcalá de Henares, 29 settembre 1547 – Madrid, 23 aprile 1616 è stato uno scrittore spagnolo, noto per essere l’autore del romanzo Don Chisciotte della Mancia. Fonte Wikipedia spiegava che quando una persona sta leggendo tantissimo sull’epoca medievale, il Don Quijote, ha messo dentro la sua testa un mondo talmente presente che quando esce di casa si trova davanti ad una vera e propria illusione! Vuol dire che la realtà virtuale è una questione legata tanto a Cervantes quanto a William Gibson Conway, 17 marzo 1948 è uno scrittore e autore di fantascienza statunitense naturalizzato canadese, considerato il padre del filone cyberpunk. Fonte Wikipedia. Io penso che il posseso del linguaggio crei l’individuo legale e democratico, crei una civiltà orizzontale e non più verticale, un cambiamento talmente radicale da avere un impatto globale su tutte le forma di vita.

Oggi l’elettricità che sta dentro un corpo è in grado di connettersi con un interfaccia o con l’elettricità che sta dentro un altro corpo e questo è possibile perché esistono le condizioni tali per cui il mio sistema nervoso è in grado di connettersi con il sistema nervoso del pianeta.

Questo vuol dicre che l’elettricità fuori del corpo, con il suo potere di direzione fenomenale, va verso l’integrazione piuttosto che la disgregazione, come accade nel mondo della meccanica. Ma questa tendenza ci farà perdere alcuni dei privilegi che abbiamo acquisito nelle epoche di controllo del linguaggio. Adesso il linguaggio non solo torna ad essere fuori del corpo, ma in tutti i sensi il grande mito del logos greco in greco: λόγος deriva dal greco λέγειν – léghein – che significa scegliere, raccontare, enumerare. Fonte Wikipedia diverrà un linguaggio creativo. Noi stiamo realmente replicando il logos greco, il logos della creazione, e lo stiamo facendo con le nostre macchine fuori del corpo umano.

Quali sono i privilegi che abbiamo perso o che dobbiamo accettare di perdere?
Io dico “you can run but you can’t hide” Questa è la problematica! ride Google Heart e tutti gli accessori che abbiamo intorno a noi comportano che siamo ovunque rintracciabili, ipertracciabili e controllabili e infatti entro breve dovremo cominciare a riflettere sulla difesa del diritto al pensiero personale, anzi penso che questa riflessione sia già più o meno cominciata. Prendiamo per esempio l’Italia che rischia d’imbavagliare l’informazione Vedi la “legge bavaglio”, una situazione che va oltre il ridicolo, o l’America… io ho sempre detto che non è Bush che ha inventato la Homeland Security Lett. Sicurezza interna, è un termine generico per indicare gli sforzi di sicurezza, consolidati dal governo Bush, per proteggere gli Stati Uniti dalle attività terroristiche, è l’elettricità che ha inventato Bush. Viviamo l’illusione del potere in un mondo che invece si sta organizzando intorno a noi con una forza molto grande che è l’inconscio, il cosiddetto inconscio Freudiano. Abbiamo un inconscio elettronico adesso, che fa fare al mondo un sacco di cose di cui una parte del mondo non si rende neanche conto.

L’identità sarà la cosa che perderemo, e la cultura. Quando Nicholas Carr dice Is Google making us stupid? – pubblicato su Atlantic Magazine nel luglio 2008 da Nicholas Carr io dico sì Nicky, Google is making us stupid, because to use it you don’t need to be intelligent! Si Nicky, google ci rende più stupidi perché per usarlo non serve essere intelligenti.

Perché c’è Google che è intelligente al posto nostro?
Esatto! ride Però devo dirlo, questa è chiaramente una provocazione e a volte sono anche un pò angosciato, anzi no, perché sono un professore e vedo i miei studenti così in buona salute e di intelligenza vera, quindi direi piuttosto che sono più liberi di pensiero. La situazione non è ancora catastrofica, ma è anche vero che la loro cultura generale è più generale del niente. È più che altro una cultura occasionale. Per esempio se io sono un ragazzo moderno e mi trovo a studiare cose sul Settecento, non chiedermi niente sul Seicento o sull’Ottocento, oppure se studio Pascal non mi chiedere di nient’altro all’infuori del matematico, che sarebbe il primo che ha inventato il calcolatore, perchè so tutto di lui sin nel minimo dettaglio, ma poi non so neanche chi sia Luigi XIV. Così la cultura rischia di perdersi ma McLuhan Herbert Marshall McLuhan Edmonton, 21 luglio 1911 – Toronto, 31 dicembre 1980 è stato un sociologo canadese. Fonte Wikipedia. Maestro e amico di Derrick de Kerckhove diceva che si tratta soprattutto di perdere l’identità. L’identità privata svanisce, noi tutti perderemo l’identità privata, le sensibilità diverse. Ma lui allora andava anche controcorrente, perché diceva che la televisione era già un modo per perdere l’identità e aveva ragione perché per esempio Madonna è diventata il riferimento per l’identità di milioni di ragazze che altro non erano che il suo modello in piccolo. Questo è il difetto delle mode, accentuato dalle televisioni che creano un pubblico mondiale.

Io allora gli chiedevo se avessimo potuto avere l’effetto contrario riprendendo il controllo del linguaggio. McLuhan parlava già dei computer anche se non sapeva ancora niente di internet McLuhan muore nel 1980, mentre la legge americana cui si deve le liberalizzazione ad uso privato di internet è del 1991. Del 1993 invece è la nascita del World Wide Web, la pubblica diffusione delle tecnologie di base delle reti digitali. Diceva che il destino profondo dell’elettricità è di eliminare l’identità privata, inutile lottarvi contro perché sarebbe come andare contro il mondo stesso. Ma noi riprenderemo il controllo sul linguaggio e con l’uso del mouse, della tastiera… riprendiamo il controllo anche sull’identità.

Quindi secondo lei noi stiamo recuperando le nostre identità?
McLuhan diceva che non sarebbe stato possibile, le coscienze sarebbero state guidate dall’interno, al di là della propria coscienza, De Kerckhove invece dice un’altra cosa: la nostra identità non sarà eliminata ma sarà ibrida perché continueremo a controllare il linguaggio grazie a Microsoft, a Word e saremo capaci di inserire la nostra identità in un modulo di controllo molto accelerato perché il potere dell’uomo oggi con la rete è infinitamente più grande di quello di prima. Questo è un potere condiviso con molte persone, che devono anche essere d’accordo con le cose che voglaimo fare in un modo o nell’altro! Vuol dire che la connettività di cui parlo è un modo di rispettare l’individuo dentro la sua collettività.

È per questo che mi sono sempre trovato a discutere con Pierre Lévy Tunisi, 1956 – è un filosofo francese che studia l’impatto di Internet sulla società. Teorizzatore dell’intelligenza collettiva. Fonte Wikipedia quando parla dell’intelligenza collettiva, perché in realtà la dinamica dell’intelligenza è connettiva: mette in relazione più intelligenze legate da un significato comune per cui le identità non sono perse, il loro nome non è si elimina nel collettivo, nell’anonimato. Possono avere più reti di collegamento, ne posso avere decine, posso avere trenta vite diverse su Second Life, io posso avere le identità che voglio e le controllo io, vuol dire che l’ibridità deriva dalla rintracciabilità della mia identità sia nella rete che del mio corpo nel mondo sensoriale, questo è il potere connettivo! Dentro questo ambiente di possesso io sono realmente posseduto, ma ho anche una dimensione di affermazione personale. Allora l’anti-umanesimo di Abruzzese diventa un neo-romanticismo. Invece di amare la Natura adesso si ama la macchina, la tecnologia.

Vabbè, dico io, ci sono tutt’e due! Il post-umano, l’anti-umano è un cyborg. Siamo già tutti cyborg è da tanto che siamo cyborg! Io penso che c’è un’ibridazione tra identità pubblica e privata. Noi stiamo controllando, o meglio, editando più che scrivendo ciascuno il proprio destino. Stiamo “mashandolo” diciamo ride molto divertito, come lo si può dire in italiano, il mashing-up da mash-up, lett. poltiglia, nel linguaggio informatico i mashup sono un’applicazione che consente di includere dinamicamente informazioni provenienti da più sorgenti. I mashup sono considerati una applicazione del web 2.0 attraverso youtube e altre cose, però allo stesso momento siamo condizionati dalla limitatezza dello “01″ il linguaggio binario.

Se passi dal mondo analogico al mondo virtuale tu passi da un mondo infinito a un mondo finito. La limitaziuone del digitale è una cosa buona, ma non possiamo confondere la vita reale con il digitale, perchè una è infinita e una no. Nel mondo reale una cosa può morire all’infinito. Nel mondo reale quello che facciamo va all’infinito, questa è la ragione che spiega perché si dice che tutte le parole che diciamo saranno messe da qualche parte! E questo mi fa pauraaa dice teatrando, poi ride tantissimo.

Mi chiedo chi avrà ragione, McLuhan o De Kerckhove? Aspettiamo allora l’ultimo argomento che non posso rivelare adesso, se non dicendo che stiamo svolgendo delle ricerche per capire fino a che punto possiamo esternalizzare il creare, l’innovare, il disegnare. Capire come possiamo fare quelle cose che adesso facciamo attraverso i sensori meccanici, uniti all’individualità. Stiamo già facendo l’immagine di una main-lining Lett. direttiva principale con Second Life capace di creare un immaginario oggettivo fuori dalla mente. Non è che io sia un praticante o un ammiratore di Second Life, far from it, però sul piano tecno-psicologico di organizzare la nostra vita, Second Life è un immaginario oggettivato fuori dalla testa dentro del quale si può andare e vedere dal punto di vista del mio Avatar, incontrare altre persone, altri Avatar dietro ai quali ci sono altre persone, questa è la cosa importante. Abbiamo la simulazione molto primitiva dell’immagnario di Cervantes fuori dalla testa. Impariamo a esternalizzare le nostre facoltà mentali, a fare fuori cose che facevamo dentro, il passaggio dell’individuo al connettivo.

La storia della rete è una storia di maturazione permanente. Tutto è strutturato per maturare. Come spiegare altrimenti che un paese “controllante” come l’America abbia lasciato più o meno aperto e libero l’auto-organizzazione della rete? Io penso che la rete vada oltre le decisioni politiche, che sia supportata da una libertà naturale.
Allora si può letteralmente pensare che noi siamo un pò come nel concetto espresso da Michael Wesch The machine is using us. Se google is making us tupid, se Second Life è il nostro immaginario oggettivo, se la macchina ci sta usando, allora vuol dire che noi diventiamo e siamo già diventati i produttori di una nuova coscienza e conoscenza. Prendi Wikipedia per cui siamo tutti produttori in connessione di questa conoscenza disponibile a tutti.
Dall’esternalizzazione di tutte le facoltà si arriva alla perdita di contenuto – questo lo diceva McLuhan – perché noi siamo come un guanto dove l’interno diviene l’esterno e l’estreno diviene l’interno. Per me invece si tratta piuttosto di un nastro di Möbius dal nome del matematico tedesco August Ferdinand Möbius – 1790-1868 – è un esempio di superficie non orientabile e di superficie rigata. Un nastro di Möbius può essere facilmente realizzato partendo da una striscia rettangolare ed unendone i lati corti dopo aver impresso ad uno di essi mezzo giro di torsione, pari a 180°. A questo punto se si percorre il nastro con una matita, partendo da un punto casuale, si noterà che la traccia si snoda sull’intera superficie del nastro che è quindi unica. Fonte Wikipedia dove interno ed esterno sono la stessa superficie, la stessa cosa. Ecco io penso che succederà questo con la nostra identità. Io penso che avremo una identità che si mescola profondamente con il mondo. Con altri colleghi sto scrivendo un libro che si chiama “Il punto di essere” che è la dimensione tattile che abbiamo quando vogliamo essere in connessione con il mondo.

Quando interagisco con mondo c’è una sensibilità tra il mio corpo e il posto dove sono. Il punto di essere è il punto di coincidenza tra l’inizio della mia sensibilità percettiva, il mio proprio corpo, e l’origine del mio pensiero. La continuità che ho col mondo attraverso la mia sensibilità fisica diventa interfaccia, faccio contentuto, mi connetto col mondo intero. Questa continuità garantisce la mia co-estensione con il resto dell’essere, la condizione del motore che si estende al mondo interno. Tutto questo ha un punto di origine, l’origine è il sentimento fisico di essere lì, è il mio punto di orientamento fondamentale sulla Google Map. Se con il mio iPad posso letteralmente navigare in tutto il mondo, nella realtà c’è un punto dove sono e questo conta sempre di più.

L’Italia, per ragioni sociali, storiche e geografiche non ha vissuto l’esperienza metropolitana al pari di Londra o Parigi. Secondo Alberto Abruzzese questa esperienza l’italiano l’ha vissuta attraverso lo zapping televisivo con l’arrivo del duopolio Rai Mediaset, con l’immediata trasformazione da cittadino a spettatore – Massimo Di Felice definisce questa forma di abitare “essotipica”, cioè da mero spettatore – per diventare poi consumatore. Sicuramente un esperienza che ha caratteri di originalità rispetto al resto del mondo, come dice Abruzzese, ma che ha anche le vesti di un cataclisma culturale. Come le reti digitali portano l’esperienza del villaggio glocale in Italia?
Mi sembra che in Italia ci sia la volontà politica di una persona molto in gamba che sa come fare business sfruttando al massimo le risorse a sua disposizione. Parlo del Presidente del Consiglio, naturalmente. Lui ha deciso di controllare l’Italia con la televisione, riducendo l’importanza di internet. L’impronta italiana è infatti quella della collettività, risultato dell’effetto televisivo, il modello dell’amico Lévy. A mano a mano che cresce l’accesso, la conoscenza e la pratica di internet, l’Italia cambierà. L’Italia adesso è in coda rispetto all’Europa per l’accesso alla rete, ma la vostra è una lotta politica. Non è un caso che gli italiani siano indietro, mica siete cretini. Avete inventato un sacco di cose da Marconi fino adesso, anche sulle reti, è l’esempio di Niki Grauso Cagliari, 1949 è un imprenditore ed editore italiano. Dopo aver creato Radiolina, tra le prime radio libere in italia nel 1975, nel ‘76 impianta Videolina, ancor oggi la rete privata sarda che vanta i maggiori scolti. Negli anni novanta Grauso raccoglie la sfida internet dando vita al primo provider globale per l’Italia, Video on Line. Gli affari vanno male per cui è costretto a vendere impianti e know how a Telecom, che li utilizza per creare Tin.it. Grauso è fondatore di E Polis. Fonte Wikipedia, o di Soru Renato Soru, ex governatore della Sardegna, insieme a Grauso ha dato vita all’internet provider Czech On Line nella Repubblica Ceca. Fonte Wikipedia dimostrando una bravura assoluta, però non avete trovato una rispondenza politica. Questo è un problema di controllo perché il popolo si controlla con i media. A un dato momento ho pensato che l’oralità, che è un elemento fondamentale dell’italiano, con il telefonino avrebbe fatto perdere l’interesse verso la televisione. Ma poi ho visto che, al contrario, il telefonino ne abbia rinforzato il potere. Quando gli italiani connessi in rete si accorgeranno del potenziale economico, come accade ad esempio per la Coda lunga Spesso presentato come un fenomeno che investe principalmente i rivenditori di prodotti di massa e aziende che operano sul web, il modello coda lunga – in inglese The Long Tail, termine coniato da Chris Anderson in un articolo dell’ottobre 2004 su Wired Magazine per descrivere alcuni modelli economici e commerciali, come ad esempio Amazon.com o Netflix – si ripercuote anche sui produttori di contenuti, in particolare su quelli i cui prodotti – per motivi economici – erano tagliati fuori dai canali di distribuzione pre-internet controllati dalle case editrici, dalle case discografiche, dalle case di produzione cinematografiche e dalle reti televisive. Dal punto di vista dei produttori, la coda lunga ha generato un fiorire di creatività in tutti i campi dell’ingegno umano. Fonte Wikipedia allora ci sarà anche da voi una nuova economia, ma gli italiani ancora non lo capiscono perché continuano a votare per la persona non giusta. Silvio Berlusconi E’ un uomo d’affari che fa bene gli affari, ma non dovrebbe essere anche il Tiranno di Siracusa!

Ultima domanda che è in realtà una provocazione: l’ecologia, ossia il problema di sterminare intere foreste per produrre libri e riviste, seppellirà la carta stampata, relegandola ad un vezzo collezionistico per pochi feticisti che ne amano il suono, il profumo e il tocco?
La coscienza ecologica non è detto che debba eliminare le forme d’espressione esistenti. Il ibro è come un opera d’arte, è diventuo già una forma d’arte. E poi siamo entrati nel mondo della programmazione, quindi possiamo decidere la quantità di carta da usare senza essenzialmente eliminarla e penso che questo lo si farà per tutto, anche per il petrolio, per arrivare ad una situazione di compromesso che abbiamo già imparato negli anni ‘70 quando abbiamo regolato l’uso del petrolio attraverso un affinamento dell’economia precedente. La carta non è fatta per morire, ma per essere ancora la garanzia della permanenza della cultura. Siamo in un mondo elettrico, ciò che è fatto di elettricità svanisce quando c’è un black out. La carta invece continua ad essere una memoria più sicura. Il limite fisico oggi è 110 anni, poi tutte le informazioni immagazzinate su un supporto magnetico vengono perse. Certo si potrebbe scoprire qualcosa di più durevole, ma fino a questo momento la carta continua ad essere una garanzia per la conservazione della memoria, la garanzia della continuità della conoscenza.

Milano, 7 agosto 2010
Daniela Paola Aglione
HOUSE, LIVING AND BUSINESS

ANDY Artista è una parolaccia. Il mio è un gesto tamarro, io sono grigio scuro, giallo e viola fluo




Una mattina di mezz'estate decido di passeggiare fuori dal centro di Monza, le ferie sono iniziate da poche ore per cui la voglia è anche quella di staccarsi dagli autoctoni che d'abitudine faticano a sorridere, a salutare. La testa ronza per l'eccesso di leggerezza e deficit da iperstimolo, senza neanche accorgermene mi ritrovo a San Rocco, dove l'aria profuma di soffritto, vernel e acque nere. La visione del canale Villoresi in Corso Milano mi ha precipitato troppo in fretta nella sindrome di Siddharta, rischio l'embolo animico "Chi fosse riuscito a comprendere quell'acqua e i suoi segreti avrebbe compreso anche molte altre cose, molti segreti, tutti i segreti. Ecco quel che il cuore vedeva, quest'acqua correva, correva, sempre correva, eppure era sempre lì, era sempre e in ogni tempo la stessa, eppure in ogni istante un'altra! Oh, chi potesse afferrar questo mistero, comprenderlo!"

Seduto in preda allo svuotamento dalle certezze lavoralguadagnative, la testa sospesa tra le mani, la mente a forma di Hesse... proprio in quel momento mi si avvicina un singolare profilo, esile, il passo leggero negli infradito, in testa una scultura platino che sfida le leggi della gravità. Mi punta addosso uno sguardo verde, un occhio è cerchiato d'arancio, la narice sinistra da un anello, lui indossa del nero violato da innesti colorati. Inizia a parlare che neanche me ne accorgo, la voce d'un tono basso da cantante wave su di me ha l'effetto di un mantra, ma tradisce a tratti un animo sovraccarico di fantasia.
"... comunque ciao, mi chiamo Andy."
Andy? Ho appena incontrato Andrea Fumagalli, mentre invece avrei scommesso gli ultimi stipendi di aver incontrato un monaco Chi Kung in versione neopop, un Monkung Pop, ecco. Incuriosito decido di seguirlo e lui mi conduce nella sua casa-studio, un ex spazio industriale ordinariamente ordinato all'esterno, ma attraversata la porta verde mi si apre davanti una paranza di colori fluo che magnetizzano tutta la luce a disposizione per rigettarmi negli occhi un caleidoscopio di iconografie anni settanta, ottanta e novanta.
Da dovunque mi guardano Biancaneve e Candy Candy, Michael Jackson, Marylin, Lamù, Audrey Hepburn, Lupin, Elvis Presley, occhi iridati e bocche carnose, come fossi nella tana di un collezionista sadico che ha fatto del colore una ragion d'essere.
"Saturo, non sadico" mi precisa Andy "la tipica cosa per cui i borghesi dicono "è troppo". Io sono nel troppo, nel riempimento. Questa è la mia ricerca.
"Paura del vuoto?" maligno io.
"Paura del vuoto NO! Il mio è un gesto tamarro, è come quello che trucca il motorino e poi ti disturba quando passa, è il DJ Set a volume troppo alto, le orecchie piuttosto me le spacco pure io. Se sapevo d'incontrarti mi facevo la vodka del mattino, invece dei tre caffè."
Mi aggiro tra le stanze e mi imbevo di tutto quel che vedo, quadri con Minnie, Dick Dastardly, Chobin, Lady Oscar, Creamy, Pacman, BarbaPapà, Jim Morrison, un grammofono con un'occhio che mi punta, popbass femminili coi baffi con donne che fumano provocanti e irriverenti, c'è persino l'orrido puff di Fantozzi, ma questo qui del Monkung Pop non si prende beffe solo dell'equilibrio fisico, ma anche di quello mentale perché è la psichedelia all'ennesima potenza. Questo è troppo, vengo colto da una grande nostalgia, tutto quel colore, tutti quei ricordi... mi sembra d'essermi affacciato alla finestra di un tendone di un circo dove tutto è scintillante, sfavillante, luccicante ma mi lascia addosso una grande nostalgia che mi fa da denominatore. "C'è tristezza, qui." Gli dico.
Andy mi "rincuora" dicendomi: "Sei tu che ci vedi tristezza, che rivedi il tuo passato con nostalgia. In quello che faccio c'è giocosità e frizzanteria, metto in atto quello che sognavo all'età di quando vedevo quel tipo di iconografia. Io da pischello sognavo di vivere esattamente come vivo adesso e infatti il sogno si è espanso all'ennesima potenza perché non c'è più un obiettivo. Se penso a me a 13 anni, sognavo esattamente di vivere in uno spazio industriale, di fare esattamente questo tipo di vita e di campare con la mia creatività. Ho io una cura per te."

Mi squadra, decide che abbiamo la stessa età (è vero!) e m chiede: "Che profumo usavi da ragazzino?" Scavo nella mia memoria e "Drakkar Noir!" gli rispondo.
"Ottimo anch'io, ti preparo un drink". Se ne va in cucina lasciandomi "da solo" (si fa per dire con tutta quella gente che mi guarda) e mi faccio un altro mezzo giro ma stavolta su me stesso e mi arriva addosso tutta l'esondazione della fantasia di Andy, scena dentro scena, come in un film impazzito. Intorno tutto mi guarda quasi a volermi giudicare e m'inchioda in una terra di mezzo, quello spazio fisico e immaginario che misura esattamente la distanza tra le sue opere d'arte e lo spettatore. Immobile e rigido nella mia posizione goffa gli urlo all'altra stanza la mia sensazione, gliela descrivo con quella mia tipica deformazione professionale da prosivendolo giornalaio tanto che mi sento rispondere "Supercazzola!"
"Eh?" gli faccio eco in uno stile decisamente meno ricercato. Andrea esce dalla cucina e con due bicchieri con del liquido colorato dentro e mi ripete: "Supercazzola."
"Cioè?" Usando di nuovo la mia verve giornalistica. "Supercazzola. Vuol dire che le tue parole suonano bene in una situazione comoda, ma non corrispondono al mio pensiero. Io non guardo mai i miei quadri, non li vedo più, io esaurisco il meccanismo, guardo solo se i cataloghi sono stampati bene se ci sono errori di ortografia poi li vendo o li lascio in conto vendita, non mi appartengono più, ce li ho ma non li guardo. E' il primo anno che vorrei una casa tutta mia, ho bisogno di un posto dove staccare da tutti i colori, capire che una giornata o una nottata è anche finita, perchè sennò ti fagocita, colori suoni, è una saturazione continua e a volte vorrei un bilocale tutto bianco senza spigoli, prorpio per staccare da tutto. Ti senti osservato nella terra di mezzo..... che supercazzola, la userò."

Mi porge il bicchiere e finalmente capisco perché da qualche secondo ho cominciato a sentirmi meglio, più a mio agio con tutto quell'overload di icone, persino allegro e divertito.
"La ricetta è in parte della nonna di una mia amica. Bevi, c'è vodka, succo di frutta e una leggera dose di Drakkar Noir. E' fichissimo devi provare. Io lo faccio spesso e non ho avuto ripercussioni strane, ce n'è uno zic, così ti bevi i tuoi ricordi."
Bevo e mi guardo intorno, il vulcano intanto si accende una sigaretta: "Nei miei quadri si riapre una porta del passato e prende nuova vita. Oggi il trentottenne rimbambito trova un posto sul pianeta e fa le mostre con i suoi ricordi! Metto in atto la programmazioe infinita che ho nel cervello. C'è estremo divertimento e goliardia del ricordo, assolutamente non c'è malinconia. Va meglio?"
Va meglio. Il Drakkar e la vodka cominciano a fare effetto, sono le undici e un quarto del mattino e le mie resistenze si sciolgono come burro al sole. "Sto meglio, sarà l'effetto placebo del profumo" gli dico.
"Effetto placebo? Interessante. I filippini negli anni settanta si erano inventati questa tresca: simulando con interiora di animali facevano finta di entrarti nella pancia con le mani, ti estirpavano il male e poi non lasciavano neanche un segno. Da un lato era una presa per il culo dall'altra sai quanta gente è guarita? La prima volta che ho fatto Chi kung, cosa che oramai faccio da sette anni, ne sono stato inconsapevole. Ti racconto una storia: 2 settimane prima del concerto di David Bowie, nel 2002, ho avuto un pnx a un polmone, cioè mi si è sgonfiato come un palloncino. Fa un male della madonna e succede a persone con un sistema alveolare particolare e a persone magre. E' abbastanza diffuso ma non lo sapevo, per cui mi sono cagato addosso perchè fa un male porco, stavo suonanaod il sax a luglio, era anche un periodo stressante e mi hanno ricoverato per un drenaggio e per far sì che il polmone si riattaccasse alla pleura. Quando al terzo giorno questa cosa non era ancora successa, uno degli infermieri mi diede un suggerimento prezioso: Hai presente il dolore intercostale? quando hai quel dolore che non puoi più riuscire a respirare, lì è dove si attacca un pezzetto di pleura. Più vai sopra, più ti fa male e più il polmone ti si riattacca alla pleura. Io allora non avendo un cazzo da fare - e poi in ospedale mi diverto sempre, c'ho sempre cinque o sei nonni nuovi, faccio sempre un pò da animatore - quella notte mi son messo lì e dalle nove e mezzo di sera alle sei del mattino io mi sono riattaccato il polmone. Lo percepivo pezzetto per pezzetto... altro che percepire, mi faceva un male della madonna!
Tu hai delle bellissime limitazioni mentali, come ad esempio quella di prendere in considerazione soltanto il cervello. La mente è l'hard disk ed è sicuramente importante, ma tutto il tuo corpo è importante. Da qui nasce il principio alchemico con il quale porto avanti tutto il mio lavoro. Io sono un discostante, un dispersivo, un compulsivo sessuale, per cui ho bisogno di qualcosa di didattico, ogni giorno faccio mezz'ora di sax e mezz'ora di Chi Kung e anche se sono 'mbriaco, fuori casa o fuori bo, non faccio mancare questo appuntamento fisso con la didattca che mi permette di radicare e contenere la dispersione."

E senza ne ma ne ba accende il proiettore e comincia a guardare delle immagini. Scorre un'altro fiume di Puffi, Andy Wharol, Paperino, Kate Moss, Cindy Loper, Occhi di gatto, Madonna, rose, stanze colorate... a volte si sofferma su un dettaglio, lo ingrandisce e lo studia a fondo, poi passa a Belèn, Silvio Berlusconi...

"Aspetta!" gli dico, "ti commissiono un quadro, dipingimi Berlusconi in Italia, il paese delle meraviglie!"
Mi risponde divertito "E' strano, sembra quasi di baciare un uovo."
"Un uovo? Un uomo, volevi dire." Gli rispondo.
"No, no. Volevo dire un uovo, mi fa troppo ridere l'idea di baciare un uovo. Che ci sarebbe di strano a baciare un uomo, a chi piace naturalmente, io l'ho fatto una volta ed ero ubriaco, ma giusto per scherzo." Ride.
"Sì ma l'hai anche cantato." Insito, senza sapere che quella canzone - "Forse" - l'ha cantata sì Andrea Fumagalli all'epoca dei Bluvertigo, ma il testo è di Morgan con qualche intervento di Andy. Infatti prosegue "Quella era un'idea di Morgan, che basa la sua vita con le supercazzole. Voleva dare quest'aura di bisessualità, a me poi! Lui è spietato e cattivo dentro, un bambino frustrato che se può fare dei tranelli agli amici li fa, è la sua natura. Poi era il momento del bacio tra lui e Andrea Pezzi con la gamba alzata... alla fine esausto ho detto sì e ho cantato uomo con la emme, non uovo. Adesso cerco la foto di Freddy Mercury all'uscita di Wembley con corona e mantellone e te lo vesto così, però con le scarpe da ginnastica, senza tacchi, e lo coloro di verde militare coi bordi oro. Se lo metto nell'"Italia paese delle meraviglie" m'immagino la valle degli orti con una gondola bellissima e il Colosseo ricoperto d'oro e il Cenacolo di sfondo che fa il cielo."
"Ma sei sempre così, Andy?" E' il Drakkar che parla.
"Dal mese di novembre alla fine di febbraio io entro in una fase di secchezza di argomenti e di autostima, in cui rielaboro tutto quello che è successo durante l'anno.
Io coloro i miei dipinti, non il mondo, per un'esigenza esibizionista di sfruttare l'eccitazione molecolare dei colori fluorescenti perché sono più accesi degli altri. Ma il mondo non è grigio, l'inverno è grigio, a causa dello spettro della luce bianca fra le nubi che fanno da filtro che desatura i colori. Io sono grigio scuro, giallo fluo e viola fluo perché ho diverse fasi... La musica è indaco fluo e giallo fluo, come tutto, sono due complemetari che si relazionano. Sono i miei prediletti. Io dipingo perché mi diverto e mi ci trovo, penso invece che artista sia una parolaccia della Madonna, io sono una persona che vive di creatività. Artista è una questione di brand, di slogan, di nomignolo e non di percezione spiritual creativa, è un nomignolo. Tutti sono creativi a modo proprio, anche uno manager o uno che lavora per un'impresa di pulizie."


Con questo pensiero, la vodka e il Drakkar Noir in corpo lascio Fluon, il laboratorio delle meraviglie. Sotto il braccio ho il dipinto immaginario che Andy ha dipinto per me. Forse ho imparato a far pace col passato, forse sono capace di tornare nel suo studio e immergermi nel festival del revival '70/'80/'90 duemila e via discorrendo. Forse ho fatto la pace con tutto, anche con i colori reali, perché nello spazio di un mattino quel Monkung Pop mi ha dipinto dentro uno Yin e Yang a forma di spirale sferica, arancio e azzurro fluo: "Siamo tutti inspigolati in cubi alla Le Corbusier, io invece sono molto più per Gaudì, per le rotondità, il continuo della natura, in natura è tutto circolare. E' più facile che ti immagini una spirale che ti permette di svolgere un percorso, l'obiettivo si sposta, vedi sempre cose differenti, cose sempre più interessanti perché il percorso. La ricerca segue sempre una circolarità. La spirale è dal microcosmo al macrocosmo, qualcosa che gira in piccolo e poi si espande in grande. Nel taoismo tutto gira attorno alla cellula, ma anche nell'atomo accade, c'è una carica positiva e una negativa in rotazione tra loro, ma tutto l'universo gira e ha una propria orbita e tu sei l'antenna. Quando fai il radicamento (ndr. pratica del Chi Kung) ti poni come un'antenna tra terra e cielo e diventi un punto di canalizzazione della rotazione. C'è una persona che sta scrivendo un libro sui miei pensieri, sui miei Andysmi... l'ho chiamato come il mio programma radiofonico... princìpi piuttosto che note biografiche, un progetto strano iniziato molti mesi fa... come ti sei accorto io ramifico molto." Così, sulla scia della ramificazione, persino i pochi alberi che mi lascio alle spalle camminando sotto un sole bollente mi ricordano i lavori di Marcel Calberer. Forse anche lui dev'essere passato di qua.

un racconto/intervista di Daniela Paola Aglione

domenica 1 agosto 2010

Alberto Abruzzese: «L’esperienza metropolitana italiana è stata un cataclisma culturale e politico»

Una domenica di maggio per puro caso, per nuda curiosità o inconsapevole masochismo ho visto il film “Ecce Bombo” – di Nanni Moretti, anno 1978. Il destino, si sa, talvolta si diverte a giocare con le persone e cosa fa? Mi piazza sullo schermo un giovanissimo Alberto Abruzzese nei panni di Alberto, l’amico di Olga. Accadimento del tutto involontario, se lo relaziono all’intervista, anche perché la visione mi è costata un mal di testa resistente al più “activo” antidolorifico… Film alla Truffault, alla Godard… che allora incassò inaspettatamente un miliardo di lire contro gli 85 milioni spesi, almeno la curiosità l’ho soddisfatta, il piacere magari meno. All’Università IULM – Libera Università di Lingue e Comunicazione – trovo di fronte a me un quasi settantenne, un fior d’intellettuale – di lì a poco avrei scoperto quanto poco ama questa definizione – con i capelli raccolti nella coda ed il sorriso sornione e malizioso, da collezionista di pensieri. Ancora non sapevo cosa significasse imbattersi nei suoi arabeschi fraseggi intarsiati d’incisi, e ignara e sorridente gli racconto brevemente della mia piccola scoperta al termine della quale parto in tromba chiedendo:
Non trova la sua partecipazione un po’ radical chic?

Ma no! Si possono avere tanti altri atteggiamenti. Io non ho fatto solo quel film: a partire da “Io sono un autarchico” – primo lungometraggio di Nanni Moretti, del 1976- ne ho fatti due o tre con lui, e la cosa nasce dal fatto che Nanni si servì per tutta la prima serie di film – adesso meno perché adesso fa cinema tout court, cinema di mercato, insomma, come tutti lo fanno – di attori occasionali, presi, invece che dalla strada, dal suo giro di conoscenze, quindi si sceglieva le persone. Ed essendo lui uno che sceglieva le persone a ragion veduta, a me ha sempre fatto fare la parte dello stronzo e del figlio di mignotta!

He, he, he… perché?

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